Una “pelle solare”, ossia una pelle attiva che, analogamente all’epidermide del corpo umano, riveste gli edifici
e regola il bilancio termico, utilizzando l’energia del sole.
È questo il concetto fondamentale del progetto Solarskin, presentato alla Commissione Europea nel 2001 e sviluppato a partire dall’anno successivo. L’idea è nata però parecchi anni prima, nella seconda metà degli anni Ottanta, concepito
e attuato dall’Ing. Adriano Trimboli, nato a Genova ma residente in Spagna da oltre 40 anni, Presidente della società IBE Ingegneria. Grazie ai finanziamenti europei, spagnoli, della stessa IBE Ingegneria, oltre che di altri privati, negli anni Novanta furono costruite cinque case pilota sull’isola di Ibiza (Baleari), attraverso cui testare i diversi componenti del sistema.
A partire dal 2002 sugli elementi (muri, tetti solari, accumulo di calore) sono stati eseguiti test meccanici e di monitoraggio attraverso un edificio prototipo costruito sempre a Ibiza. Il progetto Solarskin rappresenta l’applicazione integrata delle tre componenti fondamentali del sistema e
Ecco l’intervista ad Adriano Trimboli che ci spiega come funziona la sua casa solare in alluminio
Per informazioni scrivere all’ing.Trimboli trimboli@hotmail.es.
ha coinvolto diverse aziende europee, tra cui le italiane Venezia Tecnologie, SGG, MMT, AGF e Labor. Terminato il progetto nel 2004, si è aperta la fase dell’industrializzazione.
L’edificio prototipo è rappresentato da una casa unifamiliare con una superficie complessiva di 150 m² e un volume di circa 450 m³, costituita da un seminterrato per servizi tecnologici e da un piano fuori terra. La struttura può essere definita una vera e propria macchina termica, dove l’elemento fondamentale non è tanto l’isolamento, quanto
la produzione e gestione dell’energia.
Nella struttura edilizia sono integrati sistemi solari termici/fotovoltaici che consentono di catturare l’energia solare attraverso le pareti e il tetto, producendo, attraverso il processo della cogenerazione, energia elettrica e termica, quest’ultima utilizzabile per la produzione di acqua calda sanitaria e per il riscaldamento invernale.
I muri dell’edificio prototipo sono costruiti facendo uso di speciali laterizi con profilo a doppia U, che corrisponde ai lati esterno e interno delle pareti. In queste due facce attive – isolate tra loro mediante un coibente posto nelle camere interne – sono collocati i circuiti che trasportano il liquido vettore di calore, raccordati alle estremità con dei collettori in polipropilene estruso dotati di speciali chiusure a raccordo saldate termicamente.
I collettori sono collegati a tubicini a tenuta che consentono di realizzare, all’interno e all’esterno dei muri perimetrali, un circuito in serie o in serie-parallelo. Come ulteriore evoluzione del progetto, è stata studiata una rete sotto intonaco, costituita da piccoli tubi in polipropilene.
La finitura del muro può essere realizzata con specifici laterizi di tamponamento, oppure con intonaci ad elevata conducibilità termica, posti su reti antiritiro in materiale plastico fissate sulle pareti. I collettori possono essere inseriti anche nelle pareti o sotto forma di pavimenti radianti, per riscaldamento in bassa temperatura, annegati in un getto di calcestruzzo. In questo modo i muri costituiscono dei veri e propri scudi termici, che agiscono da elementi captanti all’esterno e come superfici radianti all’interno, consentendo il riscaldamento in inverno e il raffrescamento in estate.
I tetti dell’edificio pilota presentano una superficie complessiva di 50 m² e consistono di speciali lastre in alluminio estruso, caratterizzate da un particolare profilo ad incastro antinfiltrazione e provviste di collettori di testata. Come nel caso dei muri, anche nelle lastre scorre un fluido vettore di calore. Il sistema Solarskin è caratterizzato da una estrema modularità: i tetti, infatti, se rifiniti con diversi materiali di copertura (come tegole, coperture asfaltiche, lastre di roccia) vanno a costituire un sistema di recupero del calore solare e di isolamento termico; se abbinati a celle fotovoltaiche di vario tipo (mono e policristalline, amorfe, chimiche montate su vetro) costituiscono un sistema di trigenerazione, capace cioè di produrre elettricità, calore (che viene trasferito per contatto alla lastra termica di alluminio) e freddo mediante la rimozione del calore solare.
Il liquido vettore, oltre a scaldare l’acqua sanitaria (immagazzinata in un apposito serbatoio di accumulo) attraverso un comune scambiatore a serpentina, va a alimentare impianti di riscaldamento a bassa temperatura con pavimenti
radianti, eventualmente in abbinamento ad una pompa di calore. L’impianto di distribuzione e gestione dei flussi di calore (completamente automatizzato) costituisce un circuito chiuso collegato ai muri, al tetto e allo scambiatore a serpentina dell’acqua calda sanitaria o del riscaldamento.
Durante i mesi estivi, una volta garantito il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria, l’eccesso di calore (la cui rimozione lungo la superficie esterna dei muri e dei tetti consente d’estate il raffrescamento dell’edificio)
può essere utilizzato per riscaldare le piscine oppure può essere dissipato, o scambiato con il sottosuolo (per ricaricare il terreno) se è presente un sistema geotermico, tramite una serpentina interrata al piano fondi o
nei muri d’intercapedine. In alternativa, il calore in eccesso può essere accumulato in vasche sigillate riempite di zeoliti, che consentono di conservare nel tempo l’energia termica prodotta.
L’edificio prototipo è munito di vetri fotovoltaici, in grado di trasformare l’energia solare dello spettro visibile in elettricità, attraverso un sistema brevettato da IBE. Consta di una cella fotovoltaica chimica (DSSC – Dye Sensityzed Solar Cell) composta da due vetri resi conduttori nella faccia interna mediante riscaldamento in un forno attrezzato con una campana di vaporizzazione di ossido di stagno che viene depositato su normali vetri commerciali. Le lastre di vetro, conducibili sul lato interno, vengono successivamente dotate di fingers in platino, impressi per serigrafia, che consentono di trasferire gli elettroni prodotti nel processo fotovoltaico all’estremità della cella. All’interno dei due vetri viene introdotto un ‘elettromediatore’ a base di metalli in dye organico trasparente (ioduri o cobalto) che è in grado di produrre elettroni se colpito dalla radiazione luminosa.
Questi vetri fotovoltaici, oltre ad avere una resa elettrica che oscilla tra i 30 e i 50 W/m², hanno il vantaggio di una maggiore produzione elettrica annuale, poiché non essendo necessaria la radiazione solare diretta, sono in grado di produrre energia elettrica per un maggior numero di ore al giorno. I costi industriali delle celle sviluppate da IBE si attestano intorno a 1,5 euro per Watt, ma sono destinati a scendere una volta ammortizzati i costi di ricerca.
Fonte testo di descrizione del progetto:
http://geoandsoft.com/falzoni/down/solarskin.pdf