L’operazione Fiat-Chrysler, andata in porto il primo giorno del 2014, sembra piacere a tutti. A Piazza Affari, in primis, dove il titolo della casa automobilistica torinese ha guadagnato più del 16%, al governo di Roma, che vede nell’accordo una premessa per possibili investimenti in Italia, ma soprattutto a Sergio Marchionne, ‘deus ex machina’ di questa acquisizione.
Con le vendite di Chrysler cresciute del 16% tra il novembre 2012 e il novembre 2013, l’amministratore delegato spera di salvare il gruppo Fiat.
“Questa potrebbe essere un’opportunità – commenta il professor Cesare Pozzi dell’Università LUISS di Roma – una fusione di questo tipo non può lasciare troppi cadaveri sul campo perché tutte e due le società erano in profonda difficoltà. È un settore in profonda ristrutturazione. Ci può essere spazio per un progetto industriale”.
Ma alcuni analisti esprimono perplessità proprio sui piani industriali delle due aziende.
“Se a zero aggiungi zero – ironizza Oliver Roth, direttore vendite Close Brothers Seydler Bank AG – non cambia molto. Fiat ha problemi enormi e sta cercando di uscirne rilevando completamente Chrysler. Chrysler ha buoni dati di vendita sul fiorente mercato dell’auto negli Stati Uniti, ma questo non aiuterà Fiat. Dovranno realizzare nuovi prodotti, nuove auto, e non lo hanno previsto per il 2014 e stanno pianificando solo per il 2015. Ma la crisi europea dell’auto rimane e se Fiat ha fatto davvero una mossa importante, resta da vedere”.
A Marchionne ci sono voluti cinque anni prima di riuscire a prendere.