VIDEO: il mistero della morte di Roberto Calvi, dal Banco Ambrosoli alla Banca Vaticana


Le crisi del Banco Ambrosiano

La prima crisi del Banco risale al 1977. All’alba del 13 novembre Milano si svegliò tappezzata di cartelloni in cui si denunciavano presunte irregolarità del Banco Ambrosiano. Artefice del gesto era stato Michele Sindona, che voleva vendicarsi di Calvi, cui aveva chiesto senza successo i soldi per “tappare i buchi” delle sue banche.

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Per alcuni mesi, a partire dal 17 aprile 1978, alcuni ispettori della Banca d’Italia analizzarono la situazione del Banco Ambrosiano e denunciarono molte irregolarità, segnalate al giudice Emilio Alessandrini, il quale venne però ucciso il 29 gennaio 1979 da un commando di terroristi di estrema sinistra appartenenti a Prima Linea. Il 24 marzo il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e il vice direttore generale Mario Sarcinelli, artefici dell’ispezione, vennero accusati dai magistrati Luciano Infelisi e Antonio Alibrandi di alcune irregolarità e posti agli arresti (domiciliari per Baffi), salvo essere completamente prosciolti nel 1983, in seguito all’accertamento dell’assoluta infondatezza delle accuse mosse a loro carico.

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In seguito il Banco si trovò ad affrontare una prima crisi di liquidità, che risolse ricevendo finanziamenti dalla BNL e dall’ENI per circa 150 milioni di dollari, mentre una seconda crisi di liquidità nel 1980 fu risolta grazie a un nuovo finanziamento dell’ENI di 50 milioni di dollari, per ottenere i quali Calvi, come risulta dagli atti processuali, pagò tangenti a Claudio Martelli e Bettino Craxi. Il “castello di carte” dell’Ambrosiano crollò nel 1981 con la scoperta della loggia P2 che lo proteggeva: Calvi, rimasto senza protezioni ad affrontare lo scandalo, cercò l’intervento del Vaticano e dello IOR, ma poco meno di due mesi dopo, il 21 maggio, venne arrestato per reati valutari, processato e condannato.

Tentativo di salvataggio
In attesa del processo di appello, Calvi fu messo in libertà provvisoria, tornando a presiedere il Banco. Nel tentativo di trovare fondi per il salvataggio dei conti, Calvi strinse rapporti con Flavio Carboni, un finanziere sardo legato al Gran Maestro Licio Gelli, al boss mafioso Pippo Calò e alla banda della Magliana, con il quale entrò in rischiose operazioni di riciclaggio di denaro sporco; i legami con Carboni molto probabilmente portarono al tentato omicidio di Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano al quale era passata la gestione della banca dopo l’arresto di Calvi.

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Rosone fu vittima di un attentato da parte di Danilo Abbruciati, un boss della banda della Magliana, perché aveva cominciato a tenere ordine nei conti della banca, anche vietando ulteriori crediti senza garanzia concessi a Flavio Carboni. Lo stesso Carboni, durante il processo, ha dichiarato

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« Non capisco che interesse potevo avere a fare del male a Calvi. Al contrario, potevo avere l’interesse opposto, visto che mi aspettavo da lui un premio piuttosto consistente »
(Corriere della Sera)

La situazione comunque precipitò e Calvi e Carboni cercarono ancora l’intervento dello IOR, che rifiutò di fornire aiuto di fronte ai numerosi fatti criminosi che via via emergevano.

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Il 9 giugno 1982 Calvi si allontanò da Milano, giungendo a Roma in aereo, dove incontrò Flavio Carboni, col quale organizzerà la fuga verso l’estero. L’11 giugno il banchiere si diresse a Venezia, per poi raggiungere Trieste, e successivamente la Jugoslavia. Dal paese slavo proseguirà poi per Klagenfurt. Il 14 giugno Calvi incontrò Carboni al confine con la Svizzera, per poi partire il 15 giugno verso Londra, dall’aeroporto di Innsbruck. Il 16 giugno Carboni partì da Amsterdam per raggiungere Calvi a Londra.

Il 18 giugno venne trovato impiccato da un impiegato postale, sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi (51°30′34″N 0°06′16″W) in circostanze molto sospette, con dei mattoni nelle tasche, le mani legate dietro la schiena e 15.000 dollari addosso.

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Fu trovato anche un passaporto con le generalità modificate in “Gian Roberto Calvini“. Nelle sue tasche venne ritrovato anche un foglio con alcuni nominativi: quello dell’industriale Filippo Fratalocchi (noto produttore di apparati di guerra elettronica e presidente di Elettronica S.p.A.), del politico democristiano Mario Ferrari Aggradi, del piduista Giovanni Fabbri, di Cecilia Fanfani, dell’amico di Sindona ed ex consigliere del Banco di Roma Fortunato Federici, del piduista e dirigente BNL Alberto Ferrari, del piduista e dirigente del settore valute del Ministero del Commercio Estero Ruggero Firrao e del Ministro delle Finanze del PSI Rino Formica.

Il 17 giugno si era suicidata la sua segretaria personale, Graziella Corrocher, lanciandosi dal quarto piano dell’edificio dove ha sede il Banco Ambrosiano. La magistratura inglese liquidò la morte di Calvi come suicidio, come affermato da una perizia medico-legale. Sei mesi dopo, la Corte Suprema del Regno Unito annullò la sentenza per vizi formali e sostanziali ed il giudice che l’aveva emessa venne incriminato per irregolarità; il secondo processo britannico lasciò aperta sia la porta del suicidio, sia quella dell’omicidio. Lo scrittore Leonardo Sciascia in un articolo del 24 luglio 1982 comparso sul quotidiano Il Globo sostenne che Calvi si fosse suicidato e giudicò assurda l’ipotesi dell’omicidio.

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Nel 1988 iniziò in Italia una causa civile che stabilì che Roberto Calvi era stato ucciso e impose a un’assicurazione il risarcimento di 3 milioni di dollari alla famiglia. Il 2 febbraio 1989 Clara Canetti, la vedova di Calvi, nel corso di una puntata della trasmissione televisiva Samarcanda affermò che il marito le avrebbe confidato che il vero capo della loggia P2 era l’onorevole Giulio Andreotti, il quale lo avrebbe minacciato indirettamente attraverso Giuseppe Ciarrapico in seguito al crack del Banco Ambrosiano e gli avrebbe fatto dei discorsi che lo turbarono: di tali affermazioni però non sono mai stati raccolti riscontri attendibili anche se è accertato che Calvi, prima di partire per Londra dove venne ritrovato morto, incontrò realmente Andreotti e Ciarrapico, che lo invitarono a cena per discutere di alcune divergenze che lui aveva avuto con Orazio Bagnasco, nuovo vicepresidente del Banco Ambrosiano. Un nuovo procedimento legale sulla morte di Calvi è stato aperto in Inghilterra nel settembre 2003.

Una prima indagine della procura di Milano archiviò il fatto come suicidio. Nel momento in cui, nel 1992, la procura di Roma venne in possesso di nuovi elementi per riaprire il caso come omicidio volontario e premeditato, la Cassazione decise il passaggio della competenza da Milano a Roma. Il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia infatti aveva dichiarato che Calvi e Licio Gelli avevano investito denaro sporco nello IOR e nel Banco Ambrosiano per conto del boss mafioso Pippo Calò, che curava gli interessi finanziari del clan dei Corleonesi. A proposito, Marino Mannoia dichiarò:

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« Calvi fu strangolato da Francesco Di Carlo su ordine di Pippo Calò. Calvi si era impadronito di una grossa somma di danaro che apparteneva a Licio Gelli e a Pippo Calò. Prima di fare fuori Calvi, Calò e Gelli erano riusciti a recuperare decine di miliardi e, quel che più conta, Calò si era tolto una preoccupazione perché Calvi si era dimostrato inaffidabile»

Nel 1996 Francesco Di Carlo, diventato collaboratore di giustizia, negò di essere l’assassino di Calvi ma ammise che Pippo Calò gli aveva chiesto di ucciderlo ma poi si organizzò diversamente e gli venne detto che «la questione era stata risolta con i napoletani»: infatti, secondo il collaboratore Antonino Giuffrè, i camorristi legati ai Corleonesi (Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta ed Antonio Bardellino) si erano affidati pure a Calvi per i loro investimenti e quindi avevano perso denaro anche loro; inoltre, secondo il collaboratore Pasquale Galasso, l’esecutore dell’omicidio di Calvi fu Vincenzo Casillo, membro della Nuova Camorra Organizzata che era passato segretamente dalla parte del clan Nuvoletta e per questo doveva fare un favore a Pippo Calò. Antonio Mancini, esponenente della banda della Magliana divenuto collaboratore di giustizia, dichiarò che Calvi venne ucciso su ordine di Pippo Calò e del faccendiere Flavio Carboni, che costituiva un anello di raccordo tra la banda della Magliana, la mafia di Pippo Calò e gli esponenti della loggia P2 di Licio Gelli.

L’indagine proseguì con l’ordinanza di custodia cautelare emessa nel 1997 dal gip Mario Alberighi a carico di Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di essere i mandanti dell’omicidio. L’anno successivo, una nuova perizia sulla morte di Calvi, ordinata dal gip Otello Lupacchini, stabilì l’infondatezza dell’ipotesi del suicidio. Il processo penale iniziò il 5 ottobre 2005 in una speciale aula approntata all’interno del carcere di Rebibbia, a Roma. Imputati furono Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di omicidio, Ernesto Diotallevi, esponente della banda della Magliana, Silvano Vittor (contrabbandiere di jeans e caffè) e la compagna di Carboni, Manuela Kleinszig.

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L’accusa fece leva sulle circostanze della morte di Calvi per dimostrare la colpevolezza degli imputati (tra cui una telefonata effettuata dalla camera dove alloggiava il banchiere, i tempi morti nella ricostruzione, etc.), sulle difficoltà di accesso per un uomo di 60 anni al luogo in cui era stata legata la corda, e su una serie di perizie sul livello del Tamigi. Dall’altro lato, la difesa puntò sulla sostanziale assenza di prove contro gli imputati e sull’assenza di un movente forte per scagionare Carboni e Calò. La frase “Il Banco Ambrosiano non è mio, io sono soltanto il servitore di qualcuno” pronunciata da Roberto Calvi durante il processo per reati valutari ha lasciato molti dubbi sugli eventi.

Delle recenti affermazioni della famiglia di Calvi vorrebbero legare quella frase ad alcuni esponenti del Vaticano e la scomparsa di Emanuela Orlandi (la ragazza scomparsa a Roma nel 1983 e tuttora al centro di un giallo internazionale) a queste vicende.

Nel marzo 2007 il pm Luca Tescaroli, al termine della sua arringa conclusiva, aveva chiesto l’ergastolo per Pippo Calò, già considerato il “cassiere” della mafia, per il “faccendiere” Flavio Carboni, per Ernesto Diotallevi, ritenuto uno dei boss della Banda della Magliana, e per Silvano Vittor, accusato di aver accompagnato Calvi a Londra, di avergli fornito il passaporto falso e di essere stato uno degli esecutori materiali del delitto. Assoluzione piena era stata invece richiesta per la ex fidanzata di Carboni, Manuela Kleinszig.

Ad avviso del pm, tre motivi principali sarebbero stati alla base del delitto: gli organizzatori dell’omicidio ritenevano che il banchiere avesse male amministrato il denaro di Cosa Nostra, sospettavano potesse rivelare i segreti del sistema di riciclaggio messo in piedi attraverso il Banco Ambrosiano e ritenevano, compiuto il delitto, di poter avere maggiore peso negoziale nei confronti di coloro che erano coinvolti con Calvi.

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Il capo d’imputazione recitava:

« Gli imputati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa nostra e camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni; conseguire l’impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro »

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Il 6 giugno 2007 la seconda Corte d’assise di Roma, presieduta da Mario Lucio d’Andria, ha emesso una sentenza di totale assoluzione per tutti gli imputati per il processo Calvi. Flavio Carboni, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor sono assolti ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., 2º comma, ossia per insufficienza di prove. Assolta con formula piena invece Manuela Kleinszig, come chiesto dallo stesso PM. Resta aperto invece il secondo filone dell’inchiesta romana, a proposito dei mandanti dell’omicidio, tra i cui indagati figura anche Licio Gelli.

Il 7 maggio 2010 la Corte d’assise d’appello di Roma ha confermato le assoluzioni di Flavio Carboni, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi per l’omicidio del banchiere. Nelle motivazioni della sentenza si legge: “Roberto Calvi è stato ammazzato, non si è ucciso”.

Il giornalista Ferruccio Pinotti nel libro Poteri forti (BUR, 2005) ha indagato sulla morte di Calvi, dopo avere ripetutamente ascoltato il figlio di Calvi, che per anni ha ricostruito le vicende legate alla carriera e alla misteriosa morte del padre. Pinotti descrive le operazioni finanziarie con le quali Calvi riuscì a rendere il Banco Ambrosiano padrone di se stesso, così da poterlo gestire in piena autonomia. Operazioni tuttavia che rendono Calvi ricattabile e lo costringono a erogare cospicui finanziamenti a società dipendenti dallo IOR guidato dal vescovo Paul Marcinkus.

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Quando si manifestano difficoltà finanziarie, l’Ambrosiano cerca, senza riuscirvi, di recuperare il denaro prestato all’Istituto vaticano, che presumibilmente usa il denaro ricevuto per aiutare in tutto il mondo e in particolare in Polonia gruppi religiosi e politici vicini alla Santa Sede.

Calvi allora proverebbe a rivolgersi ad ambienti religiosi vicini all’Opus Dei, che sarebbero stati disponibili a coprire i debiti dello IOR per ottenere maggior peso in Vaticano. Tentativo senza successo, perché ostacolato da quanti, in Vaticano, temono che il potere dell’Opus Dei possa crescere e per impedirlo sono disposti a lasciare fallire il Banco Ambrosiano.

In una lettera del 5 giugno 1982 rilasciata dal figlio diversi anni dopo e pubblicata nel libro di Pinotti, Calvi scrive anche a papa Giovanni Paolo II cercando aiuto:

« Santità sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello IOR, comprese le malefatte di Sindona…; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest…; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato… »

I segreti e gli interessi economici legati alla mancata restituzione da parte dello IOR del denaro ricevuto dal Banco Ambrosiano e connessi alle operazioni finanziarie che lo IOR realizzava per conto di propri clienti italiani desiderosi di esportare valuta aggirando le norme bancarie sarebbero quindi all’origine della decisione di uccidere Roberto Calvi, che, disperato e temendo di finire in carcere, avrebbe potuto rivelare quanto sapeva ai magistrati.

Questa ricostruzione è stata criticata, in particolare da parte dell’Opus Dei che ha sempre dichiarato di non aver intrattenuto rapporti con Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano.

Il 19 novembre 1982 l’allora responsabile dell’Opus Dei per l’Italia don Mario Lantini scrisse a Clara e Carlo Calvi una lettera in cui, riferendosi alle interviste da loro rilasciate al Wall Street Journal, a La Stampa e a L’Espresso riguardo «rapporti che il defunto Roberto Calvi avrebbe intrattenuto con l’Opus Dei», dichiarò che «nessuna persona per conto dell’Opus Dei ha mai intrattenuto alcun rapporto o trattativa, né direttamente né indirettamente, né con Roberto Calvi né con lo IOR». Esprimeva inoltre «la necessità di conoscere a quali elementi Loro fanno riferimento nel parlare dell’Opus Dei» e di «fornire indicazioni su persone, fatti, circostanze e precisare ogni altro dato utile al chiarimento dei fatti». (Fonte: Wikipedia) Qui sotto un documentario in lingua inglese che affronta la tematica:

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