Un immigrato: “le multinazionali hanno derubato l’Africa per 300 anni” e denuncia il business della carità – VIDEO


“L’Europa ha rubato tutte le risorse africane per 300 anni, le multinazionali europee hanno confiscato le terre, la Cina ha affittato mezza terra in Africa”,  così il politico Pape Diaw, da circa 30 anni residente in Italia, espone il vero problema dell’immigrazione di massa durante la trasmissione “Servizio Pubblico”.

Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese di Firenze, interviene al convegno “Razzismo e xenofobia in Europa, ieri e oggi: come ricostruire la solidarietà?”  si parla di quello che è possibile definire un “business” della carità che spesso non risolve i problemi di chi è costretto a fuggire dal proprio paese. – video:

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Un pò di storia: la Cina ha La civiltà africana è stata definita la “civiltà della parola”: proprio questa scarsità di fonti stabili per la storiografia (di fonti in generale, di fonti scritte in particolare, tanto più se si considerano le fonti elaborate dagli africani stessi) determinano una grande difficoltà a ricostruire la storia di questo continente.

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Le fonti scritte coprono un periodo di tempo molto limitato (all’incirca gli ultimi 4000 anni) e si riferiscono solo ad alcune zone specifiche del continente. La scrittura si è infatti diffusa in Africa – con l’eccezione eccellente dell’Egitto in cui risale al IV millennio a.C. – a partire dal I millennio a.C. e quasi esclusivamente nei territori interessati dallo sviluppo di società di tipo statale: Nubia, Etiopia, costa dell’Africa orientale, Africa occidentale e tra le popolazioni berbere del Sahara.

È solo con gli Arabi, nell’VIII secolo, che la scrittura fa la sua comparsa nell’Africa subsahariana. Di fatto, sono esistiti nell’Africa occidentale sistemi indigeni di scrittura, ma non hanno avuto una tale diffusione da essere considerati vera e propria scrittura. Le tradizioni di scrittura del Corno d’Africa e della valle del Nilo sono antichissime. Tra il V e il VI secolo viene tradotta in Lingua geez la Bibbia. Il geez è una lingua semitica, per lungo tempo lingua franca del Regno di Axum: in geez è stato redatto il Kebra Nagast (IV-VI sec.).

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Le fonti in arabo, sorte dopo l’espansione dei secoli VIII e IX, menzionano aspetti della vita africana, la geografia, la politica, il commercio. Del X secolo sono gli scritti di al-Masʿūdī, dell’XI quelli di al-Bakrī, del XII quelli di al-Idrīsī. Sono invece del XIV secolo gli scritti di Ibn Khaldūn e di Ibn Baṭṭūṭa, che passò da Gao nel 1358. Gli Arabi chiamavano bilād al-Sūdān (“paese dei neri”) la regione tropicale a sud del Sahara: fu qui che, tra il X e il XVI secolo, sorsero i regni Tekrur, Wagadou (o impero del Ghana), Manden (o impero del Mali) e Songhai, dediti in particolare al commercio di oro e cola. Alcune cronache arabe, composte nel XVI o nel XVII secolo, si riferiscono a questa zona, come ad esempio il Taʾrīkh al-Sūdān (“Cronaca del paese dei neri”) di Abd al-Rahman al-Saʿadi e il Taʾrīkh al-fattāsh (“Cronaca del cercatore”) di Mahmud Kati.

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Altra fonte importante è il geografo arabo al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan (papa Leone X lo ribattezzerà “Leone l’Africano”): nel 1550 fu pubblicata una sua Descrizione dell’Africa e delle cose notabili che ivi sono.

Nei secoli XVII e XVIII si hanno notizie dell’Africa dai missionari cappuccini, installati in particolare nel Congo.

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Per le regioni interne del continente non esistono fonti documentarie anteriori al XIX secolo. Il XIX secolo vede un aumento delle fonti europee e ottomane. Ancora a questo punto, la scrittura non è diffusa in Africa che in una ristrettissima élite.[5] Inoltre, le fonti, incluse quelle indigene, continuano a riguardare quasi esclusivamente le zone costiere.

Alla netta prevalenza delle fonti orali, per una ricostruzione della storia d’Africa, si aggiungono altre difficoltà, tra cui la deperibilità dei reperti archeologici, l’assenza di religioni “del Libro”, e quindi di tradizioni scritturali, prima dell’Ottocento, l’assenza di rogiti o catasti, a fronte dell’inesistenza di una proprietà fondiaria privata. Al carattere di “leggerezza” degli organismi statali che costellano la storia africana, per cui il potere “non esaurisce tutti gli aspetti della sovranità e […] non ha la pretesa di dirimere tutti i casi della vita sociale”, corrisponde una scarsa necessità di ostentazione e l’utilizzo di capitali itineranti, sistema attraverso cui i regnanti potevano spostare l’attenzione da una parte all’altra del paese.[5]

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La tradizionale prospettiva eurocentrica sulla storia dell’Africa, impostasi nei secoli XIX e XX, è “venata di razzismo” e colloca “tutte le manifestazioni della vita associata in Africa […] a un ordine inferiore”.[5] Una prima solida formulazione di questa prospettiva può essere attribuita all’influente antropologo britannico Charles Gabriel Seligman (1873-1940), che riprese la cosiddetta “ipotesi camitica”, secondo la quale i contributi più rimarchevoli del continente africano alla storia umana sono in realtà da attribuire a “popolazioni non africane o, se africane, non nere”.

La regione compresa tra l’Egitto e la Numidia che sconfinava nel deserto del Sahara, in tempi classici, si componeva di cinque città di origine greca che formavano la cosiddetta Pentapoli: la capitale Cirene (presso l’attuale villaggio di Shahhat) con il suo porto di Apollonia (oggi Marsa Susa), Balagrae (odierna Al Bayda), Arsinoe (Tocra), Berenice (odierna Bengasi) e Barca (odierna Al Marj).

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Questa zona, che comprende al proprio interno un altopiano fertile e coltivato, era nota nell’antichità per la produzione di una pianta (oggi apparentemente estinta) dalle molteplici qualità: il silfio.

Cirene fu fondata intorno al 630 a.C. dai dori (greci). Primo a governare la città fu Aristotele Batto, i cui discendenti mantennero il potere per ben otto generazioni, fino al 440 a.C. Accettando l’influenza della Persia, con cui si alleò nel VI secolo a.C., Cirene conobbe grande prosperità in particolare sotto Batto IV il cui regno durò quarant’anni (514-470 a.C.). L’ultimo discendente di Aristotele Batto fu Arcesilao IV (celebre per una vittoria, ai giochi pitici di Delfi nel 462 nella corsa delle bighe, celebrata da Pindaro) che divenne re nel 470 a.C. e venne successivamente assassinato durante una guerra civile. Con la fine della monarchia di Arcesilao, Cirene fu riorganizzata in una democrazia che permase fino all’era ellenistica. Quando Alessandro si fermò nell’Oasi di Siwa, una delegazione di Cirenei fece atto di sottomissione al re macedone, che comunque non si interessò della regione. La Cirenaica, pur conoscendo qualche periodo di indipendenza, passò poi sotto il controllo dei Tolomei. Fu in seguito separata dal resto dell’Egitto a opera di Tolomeo VIII che la cedette al figlio Tolomeo Apione. Morto quest’ultimo senza eredi, la regione fu lasciata in eredità a Roma nel 96 a.C. e, nel 74 a.C., fu elevata, insieme a Creta, al rango di provincia romana.

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Dal punto di vista culturale nel III secolo a.C. operarono in quest’area i cosiddetti filosofi cirenaici, tra cui ebbe un ruolo preminente Aristippo, e così la città di Cirene fu soprannominata “Atene d’Africa”. Nello stesso periodo Cirene diede anche i natali al poeta Callimaco (310 a.C.) e al geografo e astronomo Eratostene (276 a.C.).

In epoca paleocristiana, la Cirenaica fu uno dei centri di diffusione del Cristianesimo copto. Secondo la tradizione copta lo stesso San Marco Evangelista, capostipite della Chiesa d’Egitto, nacque in una delle città dell’antica Pentapoli da una famiglia di origine ebraica,[24] anche se il suo luogo di nascita è più frequentemente individuato in Palestina. Di Cirene, o di una località limitrofa della Cirenaica, sarebbe stato originario Simone, detto “il Cireneo” cioè colui che durante il calvario fu obbligato dai soldati romani a prendere su di sé la Croce e portarla al posto di Gesù (Mt 27,32; Mc 15,21; Lc 23,26) e di cui fu scoperto il sepolcro presso Gerusalemme.[25] Sicuramente però il cristianesimo giunse nella Pentapoli dal vicino Egitto e ancora oggi la Chiesa d’Egitto la include sotto la sua giurisdizione.[26]

Un terribile terremoto, nel 365, si abbatté su tutta la Cirenaica facendo ingenti danni, specialmente nella città di Apollonia e Cirene. In seguito a ciò fu Tolemaide, meno danneggiata delle altre città della Pentapoli, a diventare capitale della Libya Superior romana.

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Le incursioni barbariche della tarda antichità classica accelerarono il declino di queste città, Cirene fu definitivamente abbandonata ai nomadi laguatani nel 410 e non fu più riconquistata dall’impero romano, neppure durante la cosiddetta Ananeosis (Ἀνανέωσις), cioè la rinascita della Cirenaica, voluta dall’imperatore Giustiniano.

L’interesse europeo per l’Africa venne riacceso nel XV secolo. L’Europa usciva da un periodo di implosione culturale ed era pronta a confrontarsi con altre culture e nuovi spazi. Inoltre, la mediazione con il mondo orientale era sin allora fatta dalle repubbliche marinare italiane, soprattutto la Repubblica di Venezia. Quest’ultima deteneva un monopolio virtuale sui commerci con il mondo arabo. Portogallo e Spagna avevano da poco ottenuto una rinnovata unità interna e sufficienti fondi per sostenere viaggi di esplorazione.

Il Portogallo iniziò la sistematica ricerca della via alle Indie circumnavigando il continente africano. Dai dati raccolti dai vari capitani che si erano avventurati sempre più a sud, i portoghesi si dimostrarono convinti che esistesse un passaggio a sud verso le Indie. Nel 1434 arrivarono a Capo Bojador (Mauritania), nel 1445 a Capo Verde, nel 1482 al fiume Congo. Nel 1488, Bartolomeo Diaz superò il Capo di Buona Speranza e nel 1498 Vasco da Gama fece la prima vera circumnavigazione del continente arrivando a Sofala (Mozambico) e Malindi (Kenya). Va inoltre ricordato che il Capo di Buona Speranza, da molti considerato il punto più a sud del continente, è invece il punto più a Sud-Ovest. Il punto più a sud è Capo Agulhas, qualche centinaio di chilometri più ad est. I portoghesi costruirono vari forti e porticcioli per permettere alle loro navi di attraccare in sicurezza. Sebbene non abbiano esplorato che le zone limitrofe ai loro insediamenti – non esistono ricordi della città di Gedi nei vari rapporti portoghesi, quando questa sorge a soli 20 km da Malindi dove loro avevano uno dei loro centri più grandi del continente, e al tempo Gedi era una città fiorente – i portoghesi sono stati capaci di organizzare un fiorente mercato di oro, avorio, legname prezioso e schiavi, che venivano dirottati alle loro colonie in Sud America.

Inglesi e olandesi presto seguirono le rotte aperte dai portoghesi e si stabilirono in diverse località della costa africana.

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L’Africa è sempre stata un bacino di esportazione di schiavi. Pare che il nome stesso, Africa, derivi da una radice fenicia che significa schiavo. La tratta più antica e continuativa è stata quella controllata dal mondo arabo. Schiavi neri venivano catturati a sud del Sahara e portati ai mercati del nord Africa attraverso il Sahara. Lungo la valle del Nilo, la tratta seguiva il fiume sino a Khartoum, per poi attraversare il deserto ed arrivare ad Assuan, e da qui al Cairo. In Africa Orientale, la tratta raggiungeva tutti i paesi della regione dei Grandi Laghi. Gli schiavisti arrivarono persino a costituire dei piccoli regni in Congo e attorno al Lago Malawi. Tra i molti schiavisti, Tippu Tip raggiunse grande notorietà dopo che, ritiratosi nelle sue sterminate piantagioni a Zanzibar, scrisse la sua autobiografia in swahili. La tratta verso i paesi arabi è stata ostacolata dalle potenze europee nella seconda metà del 1800, ma è continuata per lungo tempo. Ancora nei primi anni sessanta si vendevano schiavi africani al mercato di Aden. In tempi più recenti, la schiavitù ai danni delle popolazioni nere del Sud Sudan è stata denunciata da varie organizzazioni per i diritti umani. In Mauritania, la schiavitù è stata abolita almeno quattro volte nel XX secolo.

La tratta atlantica è stata alimentata dalla richiesta di manodopera a basso prezzo per le piantagioni e le miniere delle Americhe. Questa tratta è stata molto più breve di quella islamica, ma anche molto più devastante dal punto di vista umano. Se è vero che la schiavitù in Africa Occidentale è sempre esistita, non può essere equiparata alla ferocia e metodica messe in campo dagli schiavisti europei nella regione, tuttavia più del 95% degli schiavi fu venduto agli europei da mercanti africani o arabi, molti regni africani si arricchirono grazie alla tratta degli schiavi. La schiavitù venne messa al bando dall’Inghilterra una volta che questa perse il controllo delle sue colonie in nord America. Si arrivò quindi alla decisione per una moltitudine di motivi, da un lato umanitari e legati ai diritti umani, infatti l’abolizionismo nasce in Europa molto prima che nelle società africane o arabe, ma si arrivò a questa decisione anche perché toglieva un vantaggio economico ad un continente ormai sfuggito al controllo europeo. Lo stesso si può dire della schiavitù orientale, opposta per mettere in ginocchio l’economia in mano araba più che per veri motivi umanitari.

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L’interesse europeo verso l’Africa venne presto romanticizzato come l’impegno del mondo civilizzato a portare civilizzazione e modernità alle popolazioni che vivevano nell’ignoranza e nel buio intellettuale. In realtà, la conquista dell’Africa fu dettata da interessi economici e geopolitici. Non a caso, il primo paese ad entrare nelle mire europee fu l’Egitto, il più avanzato paese extraeuropeo nel raggio di azione di Regno Unito e Francia. Francesi e inglesi si contesero il controllo dell’Egitto dal 1811. La Francia invase poi l’Algeria nel 1830. Le società geografiche europee, sostenute dalle monarchie del tempo, mandarono esploratori a ‘scoprire’ l’interno dell’Africa. Forti delle relazioni di questi esploratori, le potenze europee iniziarono la corsa all’accaparramento delle zone migliori. Anche i missionari, che cercarono di raggiungere le popolazioni dell’interno, divennero spesso inconsapevoli o sottomessi agenti della colonizzazione. Ogni qual volta i missionari chiesero il sostegno di una potenza europea, dettero un punto di appoggio ai mercanti e ai soldati di tali paesi. Molti sono i casi di intervento europeo a difesa di una missione, intervento che permetteva di stabilire territori franchi sotto la ‘protezione’ di un paese straniero. I capi africani che sottoscrissero tali contratti di protezione non erano in grado di prevedere l’utilizzo che le potenze straniere ne avrebbero fatto, legittimando la loro presenza con trattati di poco valore legale.
Mappa dell’Africa nel 1898

Dopo la Conferenza di Berlino del 1885, le potenze europee decisero quali territori appartenessero a quali paesi. Decisero anche le aree di influenza laddove non vi erano ancora state delle prese di potere formali. Tutto questo fu possibile grazie alle cartine, allora già alquanto dettagliate, e ad una non vaga conoscenza delle materie prime presenti nel continente. Va da sé che Francia e Regno Unito – all’apice della loro potenza – poterono scegliere le zone migliori, lasciando a Italia, Germania e Spagna le briciole. Il Portogallo vide confermati suoi possedimenti, che erano però più immaginari che reali. Infatti, nonostante i molti secoli di presenza, il Portogallo non aveva alcun controllo delle sue colonie oltre una breve fascia costiera. Non aveva neppure una mappatura moderna dei territori sotto il suo controllo.

Leopoldo II del Belgio proclamò lo Stato Libero del Congo (prima in realtà proprietà privata del sovrano) e ne assunse la sovranità, facendolo dunque divenire una colonia del Belgio. La Germania poté utilizzare le sue colonie (specialmente Tanzania e Camerun) solo per un periodo breve, visto che le perse in conseguenza alla sconfitta durante la Prima guerra mondiale. Le varie colonie viaggiarono a velocità diverse. In generale, nessun paese europeo investì molto nello sviluppo delle colonie, spingendo invece i vari territori ad arrivare al più presto all’autosufficienza finanziaria. Scuole, ospedali e infrastrutture furono spesso il frutto di missionari cristiani e di società internazionali per lo sviluppo. In ogni caso, alcune infrastrutture essenziali vennero preparate. Le ferrovie, normalmente a scarto ridotto, iniziarono a penetrare il continente e a permettere il commercio di generi alimentari e minerari con i paesi extra-africani.

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Gli europei che vollero partecipare alla colonizzazinoe ricevettero in genere ampi appezzamenti di terreno o vaste concessioni minerarie. Questo fu particolarmente vero in Kenya, Rhodesia e Sudafrica. La Francia seguì un simile piano in nord Africa. In Algeria, ad esempio, i coloni venivano considerati francesi a tutti gli effetti, e godevano del sostegno governativo. L’Africa divenne anche il teatro di azioni di guerra durante la Prima e Seconda guerra mondiale. La colonia tedesca del Tanganyika si oppose alla presenza britannica, combattendo sia in campo aperto (battaglia di Tanga) che usando la guerriglia, con le incursioni navali del generale tedesco Paul von Lettow-Vorbeck sul lago Tanganika. Nel secondo conflitto, molti africani parteciparono come fanteria nelle campagne del nord Africa, delle Ardenne e della Birmania. Inoltre, la guerra in nord Africa non risparmiò le popolazioni civili estranee al conflitto.

L’Europa del dopo guerra non riuscì a mantenere il controllo delle colonie. Da una parte, la creazione di quadri preparati e con formazione universitaria aveva involontariamente preparato persone capaci di parlare al potere coloniale allo stesso livello. Dall’altra l’esperienza della guerra aveva aperto gli occhi agli africani. Questi avevano combattuto a fianco dei commilitoni europei senza sfigurare. Anzi, le truppe keniote furono quelle a fare la differenza nella campagna di Birmania. Lo stesso si può dire delle truppe senegalesi alle Ardenne. Inoltre, le nuove idee di democrazia e partecipazione politica spinsero l’opinione popolare europea a favorire l’indipendenza delle nazioni africane.

Il primo paese a raggiungere autogoverno fu l’Egitto nel 1922. Altre nazioni seguirono negli anni cinquanta, con la maggioranza dei paesi che arrivarono all’indipendenza negli anni sessanta. Le colonie portoghesi arrivarono all’indipendenza alla fine degli anni settanta dopo anni di guerra e solo perché la dittatura di Salazar era caduta nel 1974. Gibuti ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1977, e la Namibia dal Sudafrica nel 1990.

I paesi africani che sono giunti all’indipendenza hanno normalmente ricevuto un ordinamento democratico che prevedeva il multipartitismo e la divisione dei poteri giuridico, legislativo e politico. Quasi tutti i paesi africani sono però giunti in poco tempo al monopartitismo e alla presidenza a vita, impedendo quindi un vero sviluppo delle democrazie.

Sotto la spinta dei moti democratici nati alla fine della Guerra Fredda, anche in Africa si ebbe la stagione della primavera delle democrazie (primi anni novanta). Quasi tutti i paesi hanno visto movimenti popolari che hanno obbligato i presidenti a vita a concedere il multipartitismo. Sebbene il cammino democratico non sia ancora finito, si nota come la crescita della società civile stia dando segni incoraggianti di nuova partecipazione popolare alla politica e alla società dei vari paesi africani.

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