Ecco perché l’olio “cattivo” ci fa male e come riconoscerlo

olio extra vergine di olivaL’inchiesta condotta dal pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello sull’olio d’olivavenduto come extravergine, ma che extravergine non era, spinge consumatori e addetti ai lavori a riflettere. Cosa mettiamo nel carrello della spesa? Cosa c’è nelle bottiglie da 3-4 euro che si comprano al supermercato? Marco Oreggia, giornalista ed epserto assaggiatore di olio vergine ed extravergine, è il creatore di Flos Olei, guida al mondo dell’extravergine. Per lui, autorità del campo a livello mondiale, i fattori che hanno portato all’oliogate sono tre: le normative, i controlli e la cultura dei consumatori.

“L’operazione condotta dai NAS sui prodotti delle sette aziende indicate da Guariniello, fa parte dei controlli repressivi e non preventivi”, spiega Oreggia. “Queste azioni quasi mai portano a una sanzione certa nei confronti dei colpevoli. Fra tempistiche, tempi di prescrizione e analisi delle masse di olio, non si riesce mai a colpirli davvero. L’inchiesta di Guariniello sarà smontata dagli imbottigliatori adducendo problemi di conservazione del prodotto nei magazzini della grande distribuzione”. Le norme vigenti in Italia non assicurano che l’inchiesta sarà chiusa con la punizione dei colpevoli e che questi quindi potrebbero continuare a immettere sul mercato olio vergine d’oliva, spacciandolo per extravergine. Allora come può il consumatore difendersi da queste frodi?

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Quando dobbiamo scegliere che olio portare in tavola, possiamo orientarci tra extravergine, vergine e olio d’oliva. Se si sceglie di acquistarlo al supermercato, dobbiamo fare attenzione innanzitutto al prezzo: “Il prezzo dell’olio all’origine è più alto di quello che troviamo al dettaglio. È evidente che la qualità del prodotto non può essere uguale a quella di un olio comprato al frantoio. Se un produttore pugliese ad esempio, realizza all’origine un prodotto che vende a 6 euro al litro, come possiamo credere di comprare un prodotto della stessa qualità, se al supermercato lo paghiamo 3-4 euro?”. Il ragionamento che l’esperto fa si conclude con una deduzione amara: crediamo di risparmiare, ma in realtà spendiamo molto di più. “La qualità standard organolettica del prodotto acquistato al supermercato ci darà bassissime cariche fenoliche”. I polifenoli infatti sono dei potentissimi antiossidanti che aiutano il nostro corpo a ripararsi e a combattere l’invecchiamento. “Quindi quello che ho risparmiato in olio, lo si dovrà spendere in integratori o, peggio, in cure mediche”, commenta Oreggia.

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Ma se non riusciamo a intercettare l’olio direttamente al frantoio, non ci resta che leggere l’etichetta.“Le normative prevedono che ci sia un ente di controllo per le certificazioni, che valuta l’etichetta: tutto quello che è inserito deve rispettare norme precise. Il punto è che non c’è un controllo incrociato tra l’etichetta e il prodotto: la differenza quindi la fa solo l’onestà del produttore”, spiega il giornalista. “Solo attraverso le analisi a campione, può capitare di scoprire quei produttori o imbottigliatori che, con alcuni giochi di carte, sono riusciti a truccare l’origine reale dell’olio, spacciandolo per italiano”. C’è da dire anche che le aziende incriminate nell’inchiesta di Guariniello (“e meno male che questa volta almeno qualche nome è venuto fuori!”, commenta Oreggia) di fatto non sono più in mani italiane. La proprietà, come nel caso di Carapelli e Bertolli, è passata a investitori spagnoli. Ciò che resta di italico è solo il brand. “Data l’assenza di normative stringenti sull’importazione di masse di olio, è più facile che nelle bottiglie da supermercato ci finiscano olii di scarsa qualità”, spiega Oreggia.

Sull’etichetta può essere indicata anche la Denominazione di Origine Protetta e l’Indicazione Geografica Protetta, e su questi riconoscimenti non si può barare. La figura dell’assaggiatore esperto di olio interviene proprio in questa fase. Oltre a lavorare come consulente per ristoranti o per aziende olivicole, questo professionista può entrare nei panel che si occupano dei test di assaggio anonimo per il conferimento del marchio DOP o IGP. Per diventare esperto assaggiatore si deve conseguire un patentino rilasciato dal COI. Durante il corso viene insegnata la metodologia ufficiale per l’assaggio dell’olio (cosa che, ad esempio, i sommelier di vini non hanno). Infine ci si può iscrivere all’albo degli assaggiatori. Solo dopo questi passaggi, che sanciscono la professionalità dell’assaggiatore, quest’ultimo viene inserito nei panel di certificazione ufficiali. Quindi sui marchi stampati sulle etichette non c’è da scherzare. “In Italia”, specifica Oreggia “le etichette DOP sono 42, poi c’è l’olio toscano che è IGP. Ora sono in corso altre tre valutazioni per assegnare l’IGP anche a Sicilia, Calabria, Marche”.

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Oltre all’etichetta è importante guardare la bottiglia. “Deve essere scura per proteggere le cariche fenoliche dall’azione della luce. Inoltre meglio privilegiare bottiglie piccole. Preferite l’olio filtrato a quello torbido perché gli organismi estranei all’olio possono portare a fermentazioni parallele che arrivano a danneggiare l’olio”. Il vetro dunque è il miglior contenitore da usare. Qualora lo si compri in latte dal frantoio, è sempre bene travasarlo in bottiglie di vetro scure e tenerle in un luogo fresco, asciutto e poco illuminato.

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Ed ecco dove entra in ballo la cultura: riconoscere un buon olio è possibile. “I corsi d’assaggio servono proprio a quello”, spiega Oreggia. “Esistono oltre 500 varietà di olive, oltre 500 olii con caratteristiche organolettiche diverse. Le categorie degustative non vengono stabilite solo in funzione della zona di provenienza, ma in base al fruttato, cioè quell’insieme di sensazioni aromatiche che l’olio sprigiona. Esistono fruttati leggeri, medi e intensi, e non è la geografia a determinarlo in senso univico. In una stessa regione possono esistere i fruttati intensi, come quelli prodotti dall’oliva coratina, e quelli leggeri, come quelli prodotti dalla ogliarola baresana. Ad ogni buon conto, in casanon si dovrebbe avere un solo tipo di olio. Le varietà ci aiutano a scegliere quello per la frittura, per l’insalata o quello per zuppe e bruschette. Bisogna inziare a pensare agli olii, non a un solo olio per tutto”.

Prima di iscrivervi a un corso di avvicinamento all’assaggio, iniziate ad esercitarvi mettendo alla prova il vostro olio. Mettetelo in un bicchierino da caffè, fate in modo che raggiunga i 28 gradi scaldandolo con le mani, allora sprigionerà il suo fruttato. “Se si sentono note mature, l’olio è meno buona. Se si avvertono note fresche, come l’erba falciata di un prato e al gusto si sento le note amaro e piccante insieme, saprò che dentro ci sono molti polifenoli e che avrò comprato un buon olio”, spiega Oreggia. Non sperate di testare l’acidità (che per un extravergine non deve superare lo 0,3%), quella la si può appurare solo con analisi chimiche. Meglio affidarsi al palato, dunque, ma anche a piccoli produttori che non avranno difficoltà a farvi assaggiare quanto è buono il loro vero extravergine.

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Fonte: https://it.notizie.yahoo.com

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